Sta cambiando il mondo: salta tutto, anche il basket!
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Mentre i fippaioli preparano la notte dai lunghi coltelli per non scollarsi le poltrone dalle gentili chiappe, nessuno si accorge della crisi che, piano piano, sta investendo anche la pallacanestro nostrana. Tutti a inseguire le famose deleghe con una foga che, in alcuni casi, rasenta la vergogna. Il potere per il potere al fine di trarre benefici molto personali, così come avviene in certi ambienti a noi vicini e con i soldi dei dirigenti di società.
«Il banco sta saltando»: Claudio Sabatini (foto), patron della Virtus Bologna, lo dice senza mezzi termini a il Resto del Carlino, nel corso di un forum. Salta solo nel basket?
«No, sta cambiando il mondo: salta tutto. Il basket, come il resto dello sport, deve valutare se esistono, o meno, le condizioni per andare avanti. E' un problema del quale bisogna parlare, al più presto».Non le sembra di essere catastrofico?
«Sono realista. Pensiamo a quello che sta succedendo a Mosca, al Cska e ad altri club russi».
Dica.
«Beh, il Cska, che ha un budget da 35 milioni di euro e ha dominato le ultime final four di Eurolega, tre giorni fa ha chiuso la sezione femminile. Ad altri club è stata pignorata la sede».
Bisogna cambiare registro.
«Assolutamente sì. Il basket è inserito in un sistema professionistico, grazie alla lungimiranza del presidente del Coni, Petrucci. Oggi, però, bisogna rivedere alcune di queste scelte. Siamo arrivati al punto che gli sponsor principali dei club sono i proprietari stessi...».
«Benetton, Armani, Montepaschi. Questo è un prodotto che va avanti perché ci sono proprietari che rischiano di passare alla storia per essere dei ricchi scemi. Ora, però, il rischio è che diventino poveri scemi. Se questi signori decidono di chiudere, si va a toccare tutto: dallo spettacolo ai settori giovanili».
L'arrivo di Meneghin fa parlare di rivoluzione...
«Dino è una figura che nessuno si sogna di discutere, però mi sembra che lo si voglia far ragionare con le stesse filosofie di chi pensa ai numeri e alle deleghe. E' la logica del voto di scambio».
Quale è la logica di un proprietario?
«Chi produce i ricavi, vince. Non vogliamo fare politica, ma essere presenti nelle decisioni che hanno ricadute economicne importanti. Faccio un esempio: se dovessimo seguire le regole prospettate dalla federazione, potremmo fare solo contratti in nero».
Non si può.
«Lo so, ma potrebbeessere l'unica strada. A meno che non si cominci a parlare di detassazione o defiscalizzazione. C'è dissonanza tra chi vuole ridisegnare la pallacanestro e chi investe. Se non entriamo ora nella discussione non avremo futuro. Vorremmo gestire i club come un'azienda, ma i club, in questo momento, non sono aziende. Quattro italiani con un ingaggio complessivo di quattro milioni di euro lordi se li può permettere solo Milano. Se vai avanti con sei italiani, con quello che costano, o salta il banco o diventi un evasore quasi totale. Gli italiani più anziani giocano nei campionati minori perché lì guadagnano di più. E' un problema condiviso dagli altri».
Cosa si aspetta?
«A Meneghin abbiamo posto una serie di quesiti, sperando che non debba rispondere prima ai vecchi gestori della pallacanestro. Dal presidente del Coni, che ama questo sport, mi aspetto maggiore sensibilità. Per noi è una grande opportunità, ma rischiamo di buttarla per mancanza di dialogo. Se continuiamo così, questo campionato, da sedici club, con le regole che ci vogliono imporre, rischia di dimezzarsi».
Gli altri club cosa pensano?
«Condividono questa idea. Gli imprenditori ci mettono la faccia, il rischio imprenditoriale e i quattrini. Andiamo avanti anche perché il 90 per cento dei ricavi dipende da noi. Per l'ultima final eight di Coppa Italia mi sono assunto il rischio imprenditoriale, civile e penale. Abbiamo organizzato la coppa con il servizio di sicurezza interno: per gli stewart ho speso quasi 100mila euro. Mi auguro che nella prossima edizione di questa spesa se ne faccia carico la Fip. Io, sicuramente, no».
Penso a una riforma dei campionati? Magari tra serie A e Legadue?
«Non li riformano, perché ogni campionato vale una delega: questione di voti, insomma».
Quali sono le regole che vi impediscono di lavorare?
«Sei italiani nel roster, due italiani in campo. I grandi club - Siena, Treviso, Milano, Roma - si possono permettere gli italiani. Gli altri club, dalla Virtus a Montegranaro, possono aspirare all'equilibrio solo con quattro americani buoni. Solo così hai una squadra competitiva. E lo spettacolo ne guadagna».
La gente si affeziona agli italiani.
«La Virtus ha fatto un sondaggio. Sapete qual è l'italiano più amato dai suoi tifosi?».
Dica.
«Sasha Danilovic. La gente si ritrova nei giocatori vincenti e spettacolari».
Altri suggerimenti?
«Investire di più sugli arbitri. Per migliorarne il rendimento».
Cosa possono fare i proprietari per far sentire la loro voce?
«Visto che in Italia contano le serrate, fermare il campionato: prima ritardare le partite, poi non giocarle. E, se non basta, non pagare gli stipendi. Potrebbe essere un modo interessante per rendere legale quello che qualcuno fa già... Coi palazzetti vuoti, vediamo se davvero capiranno che i club qualcosa contano».
Fonte Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino
L'arrivo di Meneghin fa parlare di rivoluzione...
«Dino è una figura che nessuno si sogna di discutere, però mi sembra che lo si voglia far ragionare con le stesse filosofie di chi pensa ai numeri e alle deleghe. E' la logica del voto di scambio».
Quale è la logica di un proprietario?
«Chi produce i ricavi, vince. Non vogliamo fare politica, ma essere presenti nelle decisioni che hanno ricadute economicne importanti. Faccio un esempio: se dovessimo seguire le regole prospettate dalla federazione, potremmo fare solo contratti in nero».
Non si può.
«Lo so, ma potrebbeessere l'unica strada. A meno che non si cominci a parlare di detassazione o defiscalizzazione. C'è dissonanza tra chi vuole ridisegnare la pallacanestro e chi investe. Se non entriamo ora nella discussione non avremo futuro. Vorremmo gestire i club come un'azienda, ma i club, in questo momento, non sono aziende. Quattro italiani con un ingaggio complessivo di quattro milioni di euro lordi se li può permettere solo Milano. Se vai avanti con sei italiani, con quello che costano, o salta il banco o diventi un evasore quasi totale. Gli italiani più anziani giocano nei campionati minori perché lì guadagnano di più. E' un problema condiviso dagli altri».
Cosa si aspetta?
«A Meneghin abbiamo posto una serie di quesiti, sperando che non debba rispondere prima ai vecchi gestori della pallacanestro. Dal presidente del Coni, che ama questo sport, mi aspetto maggiore sensibilità. Per noi è una grande opportunità, ma rischiamo di buttarla per mancanza di dialogo. Se continuiamo così, questo campionato, da sedici club, con le regole che ci vogliono imporre, rischia di dimezzarsi».
Gli altri club cosa pensano?
«Condividono questa idea. Gli imprenditori ci mettono la faccia, il rischio imprenditoriale e i quattrini. Andiamo avanti anche perché il 90 per cento dei ricavi dipende da noi. Per l'ultima final eight di Coppa Italia mi sono assunto il rischio imprenditoriale, civile e penale. Abbiamo organizzato la coppa con il servizio di sicurezza interno: per gli stewart ho speso quasi 100mila euro. Mi auguro che nella prossima edizione di questa spesa se ne faccia carico la Fip. Io, sicuramente, no».
Penso a una riforma dei campionati? Magari tra serie A e Legadue?
«Non li riformano, perché ogni campionato vale una delega: questione di voti, insomma».
Quali sono le regole che vi impediscono di lavorare?
«Sei italiani nel roster, due italiani in campo. I grandi club - Siena, Treviso, Milano, Roma - si possono permettere gli italiani. Gli altri club, dalla Virtus a Montegranaro, possono aspirare all'equilibrio solo con quattro americani buoni. Solo così hai una squadra competitiva. E lo spettacolo ne guadagna».
La gente si affeziona agli italiani.
«La Virtus ha fatto un sondaggio. Sapete qual è l'italiano più amato dai suoi tifosi?».
Dica.
«Sasha Danilovic. La gente si ritrova nei giocatori vincenti e spettacolari».
Altri suggerimenti?
«Investire di più sugli arbitri. Per migliorarne il rendimento».
Cosa possono fare i proprietari per far sentire la loro voce?
«Visto che in Italia contano le serrate, fermare il campionato: prima ritardare le partite, poi non giocarle. E, se non basta, non pagare gli stipendi. Potrebbe essere un modo interessante per rendere legale quello che qualcuno fa già... Coi palazzetti vuoti, vediamo se davvero capiranno che i club qualcosa contano».
Fonte Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino